Alla scoperta di Mihaly Munkacsy, pittore tra tradizione e innovazione

Alla scoperta di Mihaly Munkacsy, pittore tra tradizione e innovazione

La Hungarian National Gallery, situata all’interno del Palazzo di Buda, è la più grande raccolta pubblica rappresentante la storia dell’arte dell’Ungheria dal medioevo ai nostri giorni e, fino al marzo 2018, ospita molte delle più famose opere del Museo delle Belle Arti (al momento in ristrutturazione), che, tra l’altro, erano state in mostra a Milano dal settembre al febbraio 2016. Tra le varie aree della Galleria, trasferita negli ambienti del Palazzo nel 1975, una grande sala, ben allestita, è dedicata ad un interessante, ma poco conosciuto, pittore: Mihaly Munkacsy (Munkács, 20 febbraio 1844 – Endemich, 1º maggio 1900).

Mihaly Munkacsy, nato in una famiglia originaria della Baviera nel 1844, dopo una prima formazione in patria, ebbe l’occasione di studiare a Vienna, Monaco, Düsseldorf e Parigi, dove nel 1874 assorbì l’influenza di Courbet e dei pittori della scuola di Barbizon,restando tuttavia indifferente alle novità impressioniste. A Parigi elaborò il caratteristico stile dei suoi quadri di genere, di tipo letterario-realistico, di ambiente popolare e borghese, che, insieme con le composizioni storiche e religiose, fecero di Munkacsy uno dei più acclamati pittori del suo tempo. La svolta del suo percorso stilistico avvenne nel 1876: anno in cui termina con la pittura di genere ed è interessato a rappresentare nei suoi dipinti la sofferenza, la malattia e la morte. Capolavoro di questo periodo è il dipinto che mostra John Milton, ormai cieco e in povertà, che detta Paradise Lost alle giovani figlie, occasione per Munkacsy per affrontare il tema della sofferenza umana e in particolare la fermezza e la lotta contro il dolore dell’uomo di genio. Lui stesso, nell’ultima parte della sua vita, soffrì molto, a partire dal 1897, infatti, fu ricoverato in una casa di cura e poi internato in un ospedale psichiatrico dove, nel 1900, morì.

Il suo dipinto più conosciuto The Last Day of a Condemned Mandipinto nel 1869 e vincitore della Medaglia d’oro al Salon di Parigi del 1870 mostra, in una cella logora, con un tavolo la cui tovaglia bianca, investita da una luce irreale sembra quasi illuminare tutta la stanza, un uomo che sta aspettando la sua ora. Riecheggiano le parole di Victor Hugo che nel suo libro L’ultimo giorno di un condannato a morte del 1956 analizza la sospensione temporale del condannato:

Si dice che sia cosa da nulla, che non si soffre, ch’è una fine dolce, che in questo modo la morte è molto semplificata. Eh, che cosa sono allora questa agonia di sei settimane e questo rantolare di un intero giorno? Che cosa sono le angosce di questa giornata irreparabile, che passa così lentamente e così in fretta? Che cos’è questa scala di torture che termina sul patibolo?

The Last Day of a Condemned Man, 1869.jpgLa drammaticità, componente fondamentale in molte opere dell’artista, è data non solo dalle tinte scelte e dal sapiente utilizzo della luce, ma soprattutto dai soggetti; protagonista della sua pittura, che non ha ceduto alle influenze impressioniste del periodo, è l’uomo. Come Cristo al cospetto di Pilato, capace di una grande dignità di fronte alla sofferenza, così l’uomo comune, espressione di una determinata condizione sociale, affronta coraggiosamente la vita quotidiana e i suoi drammi e non si può non concordare con Joyce quando, descrivendo l’Ecce Homo, scrive:

 The picture reveals the mean human passions being characteristic of both genders with such realism […] that all words are not enough for its characterization […] also through all these it is obvious, that the attitude of the artist is human, deeply shockingly human.

Elena Li Causi

Link diretto: http://www.artspecialday.com/9art/2016/11/06/alla-scoperta-di-mihaly-munkacsy/