Banksy in mostra a Roma… ma, shh, non diteglielo!


Mi piace pensare di avere il coraggio di fare sentire la mia voce in forma anonima in una democrazia occidentale ed esigere quelle cose in cui nessun altro crede come la pace, la giustizia e la libertà.

Con queste parole si conclude il percorso della mostra a Palazzo Cipolla, sede museale di Fondazione Roma, organizzata dalla Fondazione Terzo Pilastro: Guerra, capitalismo & libertà è stata inaugurata lo scorso 24 maggio e sarà visitabile fino al prossimo 4 settembre.

mostra-banksy-roma.jpgLa mostra si conclude con le stesse parole dell’artista, tratte dal suo libro Wall and Piece, eppure Banksy non c’è, non è coinvolto in alcun modo. Le quasi 150 opere (è la prima volta che così tante opere vengono esposte in un museo) tra stampe, sculture e stencil, incluse 50 copertine di dischi, provengono tutte rigorosamente da collezioni private e, dunque, assolutamente non sottratte alla strada.

Il grande assente, Banksy, è un personaggio misterioso, ormai entrato nella leggenda: classe 1974, nasce a Bristol da una famiglia della middle class e sin da subito comincia a avvicinarsi al mondo della street-art, seguendo quelle orme che i murale di Keith Haring e l’ancestrale spontaneità di Basquiat avevano lasciato.

La mostra è organizzata in diverse sezioni: dal grande salone del Capitalismo con al centro un bel bancone di caramelle (purtroppo finte), si può scegliere se dirigersi verso la sala della Guerra o quella della Libertà, tra le due, una sala dedicata aiTopi (innamorati con tanto di pennello e cuore dipinto, con occhiali da star, militarizzati e muniti di radar, pacifisti oppure imprigionati dentro una ampolla da laboratorio) e una dedicata alle ScimmieRidete adesso che un giorno saremo noi a comandare»).

Spiega Stefano Antonelli, curatore della mostra insieme a Francesca Mezzano e all’inglese Acoris Andipa:

Quando si parla di Banksy emerge l’ossessione sulla sua identità. Ci sembra distonico che una persona goda dello status di celebrità e allo stesso tempo resti nell’anonimato. Chi è Banksy? Sarà un supermilionario, vivrà nella povertà? Nessuno può rispondere a queste domande, ma allo stesso tempo l’anonimato accresce la curiosità. E lascia che siano solo le sue opere a parlare.

La mostra è il culmine del sostegno dato da Emmanuele F.M. Emanuele, presidente di Fondazione Roma, alla street-art dopo essersi impegnato con l’esperienza di Big City Life a Roma, il progetto di arte pubblica partecipata che ha valorizzato il recupero del quartiere popolare di Tor Marancia:

Banksy mi ha colpito perché nessuno quanto lui è finora riuscito a portare all’attenzione di un pubblico così ampio ed eterogeneo temi come il condizionamento e il controllo sociale, l’orrore delle guerre, le drammatiche contraddizioni del capitalismo, le insidie e le trappole connaturate al concetto di libertà. L’arte, e Banksy lo dimostra, deve essere fruibile da tutti e deve interagire col mondo.

È logico che per fare in modo che l’arte sia fruita da tutti questa debba essere gratuita, eppure per accedere alla mostra (sebbene sia stata organizzata da una no-profit) si paga comunque un biglietto. C’è da domandarsi se un’opera d’arte, una volta musealizzata, conservi ancora lo stesso valore rispetto al contesto per cui è natabanksy-napalm-print.jpg, c’è da chiedersi in che modo un curatore può andare al passo con i tempi, spingendosi al di là delle convenzioni. Ad ogni modo, ho precedentemente citato la frase finale del percorso espositivo, ma, ancora più efficace è l’opera con cui la mostra inizia: «I can’t believe you, morons, actually buy this shit»recita una tela vuota appen
a venduta a una cifra astronomica in una casa d’asta.

Demistificatore
della falsa coscienza, geniale massmediologo, dispensatore di caustica ironia: Banksy è questo e molto altro.
Il  suo moderno simbolismo è di così facile interpretazione (e lo è perché siamo totalmente immersi in quel sistema contro cui Banksy si scaglia, da Topolino, al Mcdonald’s) che ogni descrizione sarebbe superflua: una epoché, un punto di non ritorno; perfino il massacro di piazza Tienanmen o la bambina vietnamita ustionata fotografata da Nick Út sono immagini così inflazionate da lasciarci indifferenti, ormai ne siamo assuefatti. In questa nuova storia del genere umano, tutto cominciò dal momento in cui l’uomo primitivo si mise a correre diap62478371905162611_big.jpgetro un carrello (opera esposta al British con il nome di Banksymus Maximus) e così, tra elefanti damascati,

Kate Moss “pop”, finte sterline, bambole ammanettate e cabine telefoniche trucidate, si è arrivati, tra tanti luoghi comuni, fino a oggi.

Chissà se vedrai mai, caro Banksy, la mostra, chissà se ti piacerà, noi ti aspettiamo: il Bel Paese offre pizza, sp
aghetti e mandolino!

Elena Li Causi per MIfacciodiCultura

Link diretto: http://www.artspecialday.com/9art/2016/05/30/banksy-in-mostra-a-roma-ma-shh-non-diteglielo/